I fatti sono questi.
Da marzo fino all’inizio dell’estate le litanie dell'”andrà tutto bene” ci hanno accompagnato e forse anche un po’ rincuorato illudendoci che la crisi del covid sarebbe passata lasciando solo qualche strascico. Chi lanciava già da quest’estate gridi d’allarme per un più che probabile ritorno della pandemia non è stat* ascoltat*. La corsa ai bonus-briciole per vacanze e monopattini li ha sovrastati lasciandoli cadere nel vuoto.
Al ritorno dalle misere ferie che alcuni di noi hanno fatto, i bonus non erano per tutti, già qualcosa scricchiolava.
Anche se per un breve periodo il corona virus era relegato in qualche struttura e si cercava di andare oltre, in pochissimo tempo, da settembre a metà ottobre, gli allarmi lanciati erano diventati una tragica realtà. E forse anche la morte di chi aveva lanciato lo slogan “andrà tutto bene” poteva essere letto come un presagio di quello che ci aspettava e ci aspetterà.
La domanda sorge spontanea, cosa è stato fatto per evitare di arrivare alla catastrofe? La risposta è semplice. Nulla. Niente.
Lo stanziamento di soldi per potenziare le strutture sanitarie? L’assunzione di medici e infermieri con le dovute tutele è poi proseguita se mai è iniziata? L’aumento di terapie intensive e di posti letto? E per l’enorme capitolo scuola, cosa è stato fatto? Ancora qui la risposta è una sola: nulla. Gli ospedali dell’intera penisola sono già in sofferenza, medici e infermieri si ammalano a ritmo incalzante in una situazione che molti di loro non hanno mai visto. Laddove non c’è un’impennata di contagi tra personale sanitario è perché semplicemente il personale non c’è e anche se ci fosse in teoria sarebbe allontanato perché straniero. Nel frattempo la scuola riparte con una didattica a distanza che fa acqua da tutte le parti.
Tra rimpalli di responsabilità, tra chi si appella al valore inestimabile della cultura, lasciata a se stessa per tutto questo tempo e oltre, per tentare di riprendere un po’ di credibilità persa dimostrando incompetenza in tutto, tra negazionisti e terroristi della salute, ancora una volta alla parte di popolazione emarginata, a quella posta al gradino più basso della produzione, alcune volte invisibile ma ben presente per pagare tasse, a quella improduttiva perché anche la salute deve essere messa a profitto è richiesto il sacrificio supremo. Chi lavora come badante, spesso in nero e straniera, sotto il ricatto del rimpatrio, tace fino all’ultimo per tenersi stretto un lavoro malpagato e senza tutele mettendo a rischio la propria vita e quella di chi assiste.
Nei primi mesi di pandemia, tra confusione su chi colpiva di più e ridimensionamento di questa a influenza più forte, si faceva appello all’unità nazionale come guarigione collettiva o meglio come dissuasore di responsabilità per anni di scellerata gestione di molti affari pubblici. Ora questa non è più sufficiente.
Se nei primi mesi la diffusione del virus era imputabile al runner scellerato, all’anziano che non indossava correttamente la mascherina o ai giovani sempre troppo poco responsabili, ora le responsabilità appaiono sempre più chiare. Chiare come le foto di ospedali già in affanno che mettono i malati a terra nei corridoi per mancanza di spazio. Spazio che si doveva creare nei mesi di tregua. Con soldi che dovevano essere impiegati nei mesi di tregua.
Nei mesi di chiusura forzata si è vista un’impennata di violenze domestiche, le quali hanno dimostrato che sono proprio le mura domestiche il luogo meno sicuro soprattutto per le donne e ora di nuovo si assisterà a violenze e soprusi, molti dei quali passeranno sotto il silenzio perché questa violenza fa più paura del covid. E ora si ripropone la medesima chiusura e le stesse modalità narrative tossiche che vedono nel violento una persona in fondo buona ma preso dal “vortice della disperazione”.
Intanto larga parte della produzione continua. I fattorini continuano a girare e lo faranno ad un ritmo sempre più forsennato perché molti degli acquisti saranno on-line, arricchendo chi già ha un patrimonio smisurato. Il tutto senza controlli, proprio come un tempo, peggio di un tempo. Lo stesso per chi lavora in fabbrica o i rider che hanno alzato la testa in una lotta che può tornare a dare nuova vita alle altre.
Per i lavoratori in nero, i volontari che aiutavano anche chi si trovava in difficoltà, prede della solitudine, della difficoltà economica, la chiusura segna uno stop preoccupante. L’impossibilità di muoversi mette a rischio le poche entrate e gli aiuti che potevano offrire. Ansia, depressione, attacchi di panico sono disturbi che si stanno presentando con sempre maggiore forza, figli dell’insicurezza generale che chi doveva governare anche sotto questa pandemia non ha tenuto minimamente in considerazione. Anche quel genere di salute ricade economicamente e non sul paziente. Nulla di tutto ciò è stato tenuto ben presente da chi non ha problemi economici se vara misure così colpevolmente dure.
Sì, perché il lavoro in nero non è certo una novità nel panorama italiano ma pare indispensabile, come il lavoro dei volontari, eroi usa e getta. Per i commercianti, chi ha un’attività in proprio forse qualche soldo arriverà, ma difficilmente dipendenti regolari o meno potranno beneficiare di quei soldi. Lacrime di coccodrillo per chi fino a ieri sul nero ci faceva affari.
E ora parte la caccia al lavoro che non c’è, alle domande messe in un angolo e dimenticate, mentre la gente si arrangia come può perché ora ha cose più importanti che pensare ad una vetrina rotta di un marchio che in Italia ha evaso tasse per anni. E ora riparte lo scontro con la burocrazia, tra chi può accedere ad un lavoro e chi no. E non basterà qualche ripetizione a far riquadrare i conti.
Queste e altre considerazioni a margine sono uscite in una serata di novembre. Mentre raccoglievo i cocci di un lavoro che ora non ho e che vedo vacillante per il futuro. Da quella serata ho ricevuto indubbiamente lezioni di vita da chi, per il momento, fa parte dei salvati. “Non devi essere pessimista”, “fai richiesta a quello, questo, quest’altro (anche se chiaramente non potrei essere assunta per quelle posizioni)”, “fai ripetizioni (c’è una valanga di richieste sic!)” ecc….
Ora sorge spontanea un’altra domanda: chi vive davvero nei mondi dei sogni?
