Sommers*

Alla fine la sentenza è arrivata. Se fino al giorno prima c’era una qualche possibilità di poter tenersi stretto un lavoro precario alla fine la sentenza è arrivata.

Non siamo sulla stessa barca. Questo è il primo pensiero che mi è venuto in mente. Poche libertà mi si parano davanti, una reclusione domiciliare che mi riporta a cinquant’anni fa mi rende chiaro cosa dovevano provare tante, troppe donne recluse a difesa del focolare domestico. E quante vite ha reclamato quel focolare.

Tra rabbia e lacrime porto a termine l’ultimo giorno di lavoro. Un giorno forse tornerò. Quando decideranno (chi e sulla base di che cosa?) che l’emergenza vera o falsa che sia non sarà rientrata a seconda dei loro bisogni.

Un essere non riconosciuto come produttivo e recluso in quattro mura che cosa può fare? Se gli/le viene tolta la possibilità di potersi mantenere anche quel poco che basta per dire dignitosa la vita, cosa può fare? Ha due vie.

La prima è la resa. Incondizionata. Lo status quo non si può modificare e trita carne su carne, vite su vite lasciate a marcire. Monito per chi non si adegua ai nuovi standard. Una soluzione che non è una soluzione perché è soltanto una ferita subita a cui si decide non porre una guarigione.

La seconda è la via di chi prova a resistere, ad odorare quale aria nuova può portare questo momento. Quali occasioni di scontro e distruzione di quello che è stato. Insomma la via di chi non ci sta. E che continui pure questo lockdown, tanto più a lungo durerà, tanto più incontrerà la resistenza di chi di elemosine e false promosse non si nutre più.

Con buona pace di chi dall’illusorio gradino superiore dentro al girone dei sommersi si permette di dire cosa si deve o non si deve accettare per portare a casa due soldi. Rivoluzionari con il culo degli altri ne abbiamo anche troppi, hanno lasciato la barca convinti che con due bracciate avrebbero raggiunto la prima classe. Carne da macello che ancora non ha capito che lei non ha scelto nulla.

La seconda via è l’unica che può davvero portarmi da qualche parte. Mentre conto i giorni come chi sconta una pena in un carcere immagino nuovi mondi, nuove me. Niente sarà più come prima, ma questa volta siamo noi a dirlo. I vuoti a perdere di questa società hanno ancora qualcosa da dire. E lo diranno. Alla prossima

Per il primo capitolo di questa storia

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