La nera precarietà

Accogliamo un nuovo spazio in cui chi desidera parlerà della sua esperienza di lavoro precario, senza dimenticare che ciò si racconta può essere un semplice sfogo, può essere un racconto in più parti, (e questo è il caso) ma verrà segnalato volta per volta o una lucida critica della propria situazione, tenendo conto di tutte le variabili di sesso, razza, religione ecc. che accompagna il mondo del lavoro. Buona lettura!

Si dice che in fondo sia una bella fortuna lavorare in nero, si dice che è tutto guadagno, si dice che alla fine uno è anche più libero, si dice… Io dico di no. Non per tutt* è lo stesso nero.

Ma non di sola aria si può vivere e di campare sulle spalle di qualcuno non è più tempo, beato chi ci riesce sarei quasi tentata di dire, ma dove sta la propria libertà? Quella che ti promettono da ogni parte, quella libertà che cela bene catene e sfruttamento? Non è cosa per noi invisibili e alla fine vince la parte pragmatica: devi perché devi e il mondo gira così, per il momento.

Non so a quanti decibel possa arrivare l’urlo di un bambino o di una bambina ma troppi per chi ha un cervello non più in formissima come il mio, ma sia come sia la mia testa mi dico che questo passa il convento e devo pure ringraziare anche se regalo un po’ di ore preziose. Dispiace ma il nero è così, una percentuale la pretende pure dopo il favore che ti fanno di farlo continuare a prosperare.

Ritorno a quelle urla, ai tentativi di sfuggire alle regole che mi strappano un sorriso interiore e anarchicamente complice ma mi spiace: siete in uno dei tantissimi edifici dove l’educazione libertaria non è contemplata. E la ruota riparte. Urla, capricci, lamenti e accuse più o meno infondate mentre tu aspetti che vengano a riprenderseli perché sono tutt* belli, fin quando non mostrano di che pasta sono fatti. E non sta nemmeno lì il problema, ma guardi l’ora e oltrepassata una certa stai lavorando gratis, stai prendendo, e dando, urla, disobbedienza disorganizzata, sporco che dovrai pulire per la tua gloria solo, per qualcosa di effimero in realtà perché di te non c’è reale bisogno almeno sulla carta. Invisibile e ad un certo punto inutile mentre cerchi di essere buona facendoti rispettare. Pensi che semplicemente un giorno ci sarà un arrivederci. E pensi che ti mancherà quella furbizia malcelata, dopotutto.

Pensi alla strada che ti attende ogni giorno, non una bella statale con una bella vista, ma un’autostrada dove si corre veloci e chissà in quanti corrono per guadagnarsi due soldi brutti, sporchi e neri. La strada non è un dettaglio da sottovalutare: qualsiasi cosa capiti lì, lì rimane. Forature, tamponamenti, code, affidati alla bontà di chi ti offre il lavoro e spera che comprenda. L’unica volta che ho visto uno straccio di contratto vedere che anche il mio tempo di viaggio aveva un valore e che questo era anche tutelato mi aveva quasi commosso.

Scrivo queste righe non di getto ma ci ragiono su. Rimugino sulla mia situazione che alla fine non è la più brutta che mi si potrebbe prospettare, ma penso che questo non è il futuro per noi. Non è questa una vita che può protrarsi a lungo. E senza prospettive non si costruisce nulla.

E mentre scrivo penso a quanto sia sarcastica la vita, sarà che il nero richiama il nero e ci capiamo al volo, io e la persona presente mentre il sole è calato da un bel pezzo e non fa più caldo come in estate, ma non di sola aria si può vivere e qua c’è chi la vita non gli ha permesso di campare sulle spalle di nessuno. E si ritorna al lavoro.

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